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Arnaldo Zambardi - S.Pietro Infine

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San Pietro Infine. Il paese natale di Arnaldo Zambardi

Arnaldo Zambardi ed Enrico Melchiorre: La battaglia di San Pietro Infine
parte 1a 8-16 dicembre 1943

Arnaldo Zambardi ed Enrico Melchiorre: La battaglia di San Pietro Infine
parte 2a 8-16 dicembre 1943

in rete:

su YouTube:

La Compagnia del Libro: il borgo fantasma come testimonianza della crudeltà della guerra

dal programma Rai superquark un documentario sulla battaglia

La consegna della Medaglia d'Oro al Merito Civile

motivazione dell'onorificenza:

"Comune situato sulla linea Reinhard, occupato da truppe tedesche, durante l'ultimo conflitto mondiale, si trovò al centro di numerosi combattimenti, subendo violenti bombardamenti e feroci rappresaglie che procurarono numerose vittime civili e la totale distruzione dell'abitato. I cittadini, costretti a trovare rifugio in grotte improvvisate, resistettero con fierissimo contegno agli stenti e alle più dure sofferenze per intraprendere, poi, la difficile opera di ricostruzione. - San Pietro Infine (CE) - 1943"

dal sito del Quirinale

La battaglia di San Pietro Infine

(8-16 dicembre 1943)

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I grandi episodi della seconda guerra mondiale vivono nella memoria di tutti gli uomini del mondo; coloro che aspirano a progredire sul cammino della civiltà non possono dimenticarli ma debbono tenerli sempre vivi nella propria coscienza onde evitare altre gravi catastrofi della storia. Ricordarli e trasmetterli alle nuove generazioni significa tener alto il senso civico, l’onore della patria, la crescita della democrazia, il bene comune. Nel contesto tali vicende restano impresse nella coscienza dei singoli popoli non più come pene sofferte ma come eventi ineluttabili, e in qualche modo gratificanti, valide ad auspicare tempi migliori. Può accadere, tuttavia, che tali grandi avvenimenti, come spesso avviene, relegano nel dimenticatoio episodi meno eclatanti, ma allo stesso modo altamente significativi per la memoria storica degli uomini E’ il caso di San Pietro Infine, piccolo centro agricolo lungo la Casilina, nell’Alto

Durante gli avvenimenti bellici del ’43 il piccolo centro, essendo vicinissimo a Cassino, venne a trovarsi nel punto cruciale della campagna militare degli alleati che risalivano la penisola dopo lo sbarco in Sicilia, esattamente di fronte a Montelungo, il “roccioso dosso” che si allunga tra il Comune di Mignano e le propaggini di Cassino.C In quel lembo di terra sui confini tra Campania, Molise e Lazio, come è noto, si svolsero alcune cruenti battaglie preliminari di quella conclusiva di Cassino da cui San Pietro Infine dista appena circa dieci chilometri in linea d’aria. Gli storici hanno documentato tali battaglie; nel volume intitolato Il secondo Risorgimento, con sottotitolo Nel decennio della Resistenza e del ritorno alla democrazia (1945-1955), edito dall’Istituto Poligrafico dello Stato, 1955, compare, tra gli altri saggi, quello di Clemente Primieri, intitolato La Resistenza: il contributo delle Forze Armate alla Guerra di Liberazione in cui risalta l’importanza strategica avuta da Montelungo che corre parallelamente a San Pietro Infine ad una distanza di appena alcune centinaia di metri in linea d’aria fino ai primi lembi della piana di Cassino.

Così Clemente Primieri illustra i combattimenti verificatisi su Montelungo con la partecipazione del 1° Raggruppamento motorizzato italiano:

“ … l’unità, agli ordini del generale Dapino, riceveva l’0rdine dal Comando della 5°armata di trasferirsi dalla zona addestrativa di Maddaloni a quella di combattimento di Mignano Monte Lungo per affrontare la prova nel nome d'Italia, al grido di “Roma o morte”.

Incorporati fra le valorose truppe della 5°armata americana, agli ordini del generale Clark, gli italiani sostituiscono nella notte dal 6 al 7 dicembre 1943 i reparti del 142° reggimento americano, schierati a cavaliere della rotabile e della ferrovia Napoli-Cassino-Roma.

Il mattino dell'8 dicembre, festa dell'Immacolata, dopo 24 ore dal loro arrivo in zona, fanti del 67° reggimento fanteria « Legnano », bersaglieri del LI battaglione di istruzione allievi ufficiali, artiglieri dell'110 reggimento artiglieria « Mantova », carabinieri, genieri, autieri, compresi dell'arduo compito loro affidato, sono schierati dinanzi a Monte Lungo pronti all'attacco.

Monte Lungo, così chiamato per la sua forma allungata, è messo a sbarramento naturale tra le depressioni di Mignano e di Cassino. (Al centro si trova San Pietro Infine come è ben visibile dalla cartina che lo stesso Clemente Primieri unì al suo saggio sull’argomento.) E’ un roccioso dosso di pretta natura carsica, privo di vegetazione, ondulato, con gibbosità sempre crescenti verso le posizioni nemiche e culminanti nella quota 343. Esso è reso imprendibile dalla capacità combattiva del III battaglione del 15° reggimento Panzergrenadiere, rinforzato da reparti della divisione « Goering ».

Alle ore 6,20, mentre l'artiglieria italiana effettuava la preparazione, bersaglieri e fanti si lanciarono, garibaldinamente, all'assalto nella nebbia stagnante. Contrattaccati violentemente, s'inchiodarono sulle posizioni raggiunte, sotto l'implacabile e preciso fuoco avversario, e non mollarono.

Gli episodi di eroismo furono numerosi e tanto più degni di rilievo se si tiene conto della eterogeneità dei reparti e del mancato ambientamento.

Poi la nebbia si dirada; il tiro si fa preciso e micidiale: un furioso corpo a corpo è in atto quando gli uomini dal giubbotto di pelle della Goering contrattaccano con ferocia.

Questi ultimi cavallerescamente diranno poi che gli italiani si sono battuti da leoni, e quando, dopo le prime ore dell'8 dicembre potemmo rastrellare il terreno, riconoscendo tra i caduti truppa italiana, “comprendemmo”. Era la truppa dei sottotenenti Camparota e Cederle orribilmente colpiti a morte; erano gli allievi ufficiali, che, ancora adolescenti, lasciati i banchi del liceo, avevano sostenuto il più duro esame per essere promossi nell’eletta schiera degli eroi.”<

Ora essi riposano nel Sacrario di Montelungo costruito dallo Stato italiano per ricordarli e onorarli.

San Pietro Infine, è una pagina gloriosa che non deve sfuggire al ricordo dei posteri, perché ha subito l’identico martirio di Cassino: la morte di 135 persone4 su una popolazione di meno di duemila anime e la distruzione totale degli edifici a causa dei cannoneggiamenti. Ben quattordici di quei morti furono fucilati dai tedeschi in località Cerrete. Negli archivi del Comune esiste un documento ufficiale della barbarie perpetrata. I tedeschi erano attestati nelle caverne della località Croce, all’entrata del paese, nelle masserie sparse per le campagne, sulle pendici di Monte Sammucro; da quei luoghi opponevano una dura resistenza, anche dopo la presa di quota 343 di Montelungo, impedendo di fatto alle truppe alleate di oltrepassare la gola di Montelce, lungo la Casilina, tra Monterotondo e Montelungo, ben controllabile da San Pietro Infine e passaggio obbligato per proseguire la marcia verso Cassino. In quel frangente il paese fu distrutto a tal punto che l’antico San Pietro Infine non fu più ricostruibile nello stesso luogo e fu giocoforza riedificarlo più a valle, a circa tre chilometri di distanza dai ruderi che tuttavia oggi sono ancora lì, nel luogo originario, quali macerie parlanti, a testimoniare il sacrificio immane. Il sedici dicembre infatti ebbe luogo la Battaglia di San Pietro Infine che permise finalmente agli alleati di oltrepassare Montelce. Tuttavia la resistenza dei tedeschi non era vinta, le truppe naziste si attestarono a Cassino dove opposero un’altra accanita resistenza. In quei mesi terribili maturò anche la pagina più triste, dal punto di vista culturale, di quegli eventi bellici: gli alleati, dopo la battaglia di San Pietro Infine, trovandosi di fronte ad un ulteriore ostacolo a Cassino e ritenendo che Montecassino, ben visibile da San Pietro Infine, fosse diventato la tana dei tedeschi che resistevano lungo la linea Gustav, presero una decisione catastrofica permettendo al generale B.C. Freyburg di ordinare il bombardamento dell’Abbazia. Il 15 febbraio ’44 una squadriglia di aerei per tutto il giorno e tutta la notte massacrò Montecassino, colpendo così violentemente quell’insigne monumento mondiale che ne rimasero soltanto le macerie: era il faro più luminoso della civiltà occidentale. Nel monastero c’erano soltanto alcuni monaci e pochi rifugiati civili.

Da molti anni i sanpietresi, con la discrezione che li caratterizza, attendevano un riconoscimento ufficiale che onorasse la memoria dei loro antenati caduti e ricordasse ai viventi la distruzione di un centro che, sebbene piccolo, vantava comunque una storia millenaria, con radici fin nel 1004, come testimoniano i documenti ritrovati proprio nell’abbazia di Montecassino della cui diocesi San Pietro Infine faceva e fa ancora parte.

Negli anni trascorsi si è parlato di valorizzare i ruderi di San Pietro Infine come Monumento Mondiale Alla Pace, ma un esito finale di tale auspicio non fu mai raggiunto; è augurabile che il riconoscimento, così altamente significativo, si realizzi. Un primo passo lodevole è stato compiuto recentemente; con decreto del Presidente della Repubblica, San Pietro Infine è stato finalmente insignito della medaglia d’oro al merito civile. Ma ciò non può bastare; è auspicabile che quel ventilato Monumento Mondiale Alla Pace diventi una realtà, perché oltre tutto, San Pietro Infine è l’unico centro abitato in Italia distrutto totalmente durante gli eventi bellici della seconda guerra mondiale.

Della pagina trascurata di così glorioso sacrificio si sono interessati studiosi, giornalisti, poeti, ma tutti ancora attendono un segno tangibile che testimoni il sacrificio totale di San Pietro Infine.

San Pietro Infine captured”. Così, il 20 dicembre 1943, qualche giorno dopo la grande battaglia di San Pietro Infine, titolava il Daily News. E il cronista rincarava la dose: “…i nostri soldati sono entrati nel paese di San Pietro Infine situato ai piedi di monte Sammucro, respingendo i nemici tedeschi verso Cassino… non una casa è rimasta in piedi ed io non so chi potrà mai più viverci da queste parti… il nome di questo piccolo paese resterà negli annali della storia militare americana e nessun soldato che vi ha combattuto potrà mai dimenticarla.”

Il resoconto del Daily News è stato riportato in un articolo de La Repubblica del 25 novembre 1993 con il titolo: Nel “paese che non c’è più”, a ricordo e commemorazione della Battaglia di San Pietro Infine, documentata da John Huston, allora corrispondente di guerra a seguito dell’esercito americano, con il documentario Combat film . Oggi infatti il paese non c’è più, restano soltanto le macerie e i ruderi, testimonianza vivente degli orrori della seconda guerra mondiale. Il martirio di San Pietro Infine, dunque, è stato dimenticato per troppo tempo, quasi sessanta anni; l’ora del riscatto non può più essere procrastinata.

Nell’imminenza del sessantesimo anniversario degli eventi bellici accaduti tra Cassino e San Pietro Infine durante la seconda guerra mondiale, allorché programmi molto significativi si stanno preparando per celebrare la ricorrenza della distruzione di Cassino, Montecassino, San Piretro Infine e altri centri limitrofi, occorre rivolgere particolari attenzioni a San Pietro Infine: il piccolo centro, infatti, con i suoi ruderi è l’unica testimonianza ancora riscontrabile visibilmente della tragedia di quegli anni terribili.

Altamente meritoria appare comunque l’abnegazione del popolo di San Pietro Infine quando si rileva che i ruderi non sono stati abbandonati alle ortiche. Giovani dotati di grande fede nel passato ricordato dagli anziani e grande fervore per un futuro più nobile, stanno conservando i segni architettonici e l’alto significato civile del loro paese: brandelli di mura medievali, portali in pietra viva, gradinate in pietra calcarea che con i ripidi pendii costituivano la rete stradale del Comune, insigni iscrizioni riferite ad avvenimenti storici, resti monumentali di due chiese di cui alcuni segni architettonici risalgono al XVII secolo, un santuario dedicato alla Vergine dell’Acqua, una monumentale sorgente, emula delle Fonti del Clitumno, con quattro artistiche bocche bronzee, che dissetava l’antico borgo e alimentava un’oasi di pace all’ombra di secolari platani.

Domandiamo a chi ha a cuore la storia patria se non sia più che giusto intervenire seriamente per aiutare una popolazione a conservare, per la memoria dei propri figli e del mondo intero, tale insigne esempio di sacrificio per la Patria oltre che per le antiche vestigia.
Lo reclamano non soltanto i sanpietresi, ma anche i numerosi reduci – americani, inglesi, indiani - che a volte tornano sui ruderi di San Pietro Infine per rivivere con grande commozione i luoghi dove combatterono e dove videro cadere i loro compagni d’arme; in particolare si rammaricano i vecchi immigrati naturalizzati in America, in Canada e in altre nazioni che, memori del luogo natio, chiedono ai loro parenti di San Pietro Infine notizie su persone e fatti dell’antico borgo.

I primi riferimenti ad un nucleo abitato sorto nella zona risalgono, secondo le cronache abbaziali di Montecassino, al 1004.
Da antiche pietre marmoree, ritrovate nella pianura lungo la Casilina, alle pendici di Montelungo tra San Cataldo e Montelce, dalle residue tracce di pavimentazioni romane e resti architettonici che segnalano la probabile esistenza di un antico acquedotto romano, i giovani sanpietresi ritengono che il loro paese nei secoli passati si estendesse ai piedi di Monte Sammucro che si staglia, simile ad un colosso dolomitico, a Nord Est dell’attuale San Pietro Infine, fino alla piana di Santa Maria lungo le pendici di Montelungo tra Mignano e Rocca d’Evandro. Altri resti sono stati rinvenuti al Torrione, una zona che si protende ad Ovest dell’attuale agglomerato urbano, così che è facile ipotizzare l’esistenza, in tempi antichissimi, intorno al Mille, di una città probabilmente esistita nell’età imperiale romana. L’ipotesi è avvalorata da due considerazioni:
in primo luogo il fatto che gli oliveti sanpietresi, tutt’uno con quelli di Venafro, nell’antico Sannio, sono ricordati in ben quattro passi delle Odi di Orazio. Uno dei quattro passi (Libro Secondo, Ode IV) così recita:

… insuper addes
pressa Venafranae quod baca remisit olive.

Orazio esalta una salsa da ottenere, appunto “con l’aggiunta di olio spremuto dai torchi di Venafro”;
in secondo luogo il ritrovamento di un Grafico riproducente il Centro Antico fortificato di S. Pietro Infine (sec.XI).
La furia della seconda guerra mondiale ha distrutto persino le Tre Torri che col passo omonimo tra Campania e Molise, a qualche chilometro tra San Pietro Infine e Venafro, segnavano il punto di demarcazione, tra l’antico Sannio e la piana di San Germano che nel 1871 prese l’attuale nome di Cassino nel Lazio.

Il visitatore che giunge a San Pietro Infine si immerge nella storia e nella cronaca degli episodi più gloriosi della seconda guerra mondiale lungo la linea Gustav. L’ospite che volesse visitare i luoghi delle battaglie, che aspirasse a rivivere tali storici avvenimenti non deve compiere un lungo viaggio: prenda l’autostrada A1 da Roma o da Napoli ed esca al casello di San Vittore, percorra appena 4 chilometri in direzione della Casilina verso Sud. A San Cataldo, nel punto d’incrocio tra Campania e Molise, ad flexum, come veniva chiamato dagli antichi quel bivio, troverà, non solo il cartello che gli indicherà San Pietro Infine, ma anche una prima testimonianza storica del borgo. Sulla destra un antico rudere conserva sul portale in pietra calcarea un’iscrizione marmorea che ricorda la visita fatta ad un signore locale, Giuseppe Spallieri, nel 1824, da Francesco di Borbone, allora Duca di Calabria e Principe ereditario, divenuto, l’anno successivo Francesco I Re delle Due Sicilie.

La lapide, crivellata da proiettili e schegge di bombe, segno tangibile dell’accanita lotta tra alleati e tedeschi appostati sui pendii di Montelungo, è ancora lì, seminascosta dalle erbe e dalla muffa, nello stato in cui fu ridotta durante quegli atroci combattimenti, e attende che qualcuno la restauri.

Il sogno che i sanpietresi accarezzano è quello di vedere un giorno il Casalone di San Cataldo, antica Posta lungo la Casilina, ristrutturato e trasformato in un museo storico cbr /he conservi la memoria documrntale dei fatti di San Pietro Infine.

A destra e a sinistra del Casalone di San Cataldo si distende Montelungo che da Mignano, medaglia d’oro al valor militare, giunge fino alle pendici di Rocca d’Evandro, ultimo comune, a Sud Ovest della Campania, sui confini con il Lazio.

Una volta percorse le gradinate di San Pietro Infine e osservato il panorama delle battaglie che si staglia all’orizzonte verso Montelungo, il visitatore non deve trascurare due visite particolari: quella delle grotte della Valle e quella del Sacrario monumentale alle falde di Montelungo.

I sanpietresi, già ai primi bombardamenti degli alleati, avvenuti nel maggio del ’43, quasi avessero sentore della catastrofe imminente che si sarebbe verificata, in una zona collinosa e tufacea a ridosso del paese chiamata La Valle, scavarono una serie di grotte comunicanti tra loro e capaci di dar ricovero a centinaia di persone. Da lì tuttavia occorreva uscire per i rifornimenti e molti dei sanpietresi incappati nei cannoneggiamenti incrociati dei tedeschi e degli alleati per mantenere o conquistare la posizione strategica della zona, trovarono la morte.
Il visitatore compia anche l’ultima tappa dell’itinerario dei ricordi legati a San Pietro Infine e salga al Sacrario di Montelungo, alle pendici del massiccio nel versante che guarda contemporaneamente a Mignano e a San Pietro Infine.

Sul frontale del monumento leggerà: Mortui ut patria vivat.
Il Sacrario di Montelungo è stato eretto a perenne memoria dei caduti italiani durante gli atroci combattimenti. Lottarono da leoni risalendo il pendio con le sole forze delle mani e dei piedi, del coraggio e dell’abdicazione ai valori della patria; il generale Clark, comandante della Quinta Armata delle forze alleate, indirizzò al comando generale delle forze italiane una pagina di elogio:

Desidero congratularmi con gli ufficiali e soldati al vostro comando per il successo riportato nel loro attacco a Monte Lungo e su quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa.”

Di tutto ciò alla data odierna restano i ruderi che attendono un restauro conservativo. Appare comunque lodevole l’operato dell’attuale Amministrazione Comunale, sindaco Fabio Vecchiarino, che avvicinandosi il sessantesimo anno della distruzione di San Pietro Infine, nel dicembre del 2002 ha promosso lo sgombero di vecchi e brutti manufatti esistenti da anni nella piazzetta San Nicola all’entrata del paese e ha elevato ufficialmente il luogo a Parco della memoria. Una lapide commemorativa e alcune carte oleografiche indicano un itinerario essenziale ad orientamento dei visitatori.

Il nuovo San Pietro Infine attualmente è un paesino moderno, con una piazza monumentale e una serie di gradinate - quasi una moderna Trinità dei Monti - che salgono verso la nuova chiesa San Michele, simbolo della rinascita di un popolo che, pur nella sofferenza, ha conservato intatto la propria dignità morale e civile

Versi per le vittime della guerra a San Pietro Infine

Il ricordo dei nostri morti sia un monito perenne per le azioni che commettiamo.

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ELEGIA PER I QUATTORDICI MARTIRI

Della barbarie nazista a San Pietro Infine

LA SPERANZA E L’ATTESA

A chi ha giovato la nostra morte?
Fu all’alba dell’11 novembre del 1943
Il cielo era plumbeo e sinistro
E alle Cerrete risuonava una lugubre eco
Che rompeva il silenzio della valle.
I miei figli, Vincenzo e Domenica Nardelli,
Dormivano tranquilli nei giacigli
Ignari della fine imminente che ci attendeva.
Mio marito, Vittore, si rigirava nel letto
E le pannocchie scricchiolavano sorde
sotto il peso della sua anima agitata.
Vittò’, non dormi? Perché non dormi?
Angelì’, non senti la lugubre civetta?
Che sarà del nostro futuro? Che sarà?
Dormi, Vittò’, Dio ci aiuterà, dormi.

Noi madri affaccendate per un’amicizia fatale
Alimentavamo un destino di morte.
I più anziani guardavano l’alba opaca
E tristi pensavano all’incerto futuro.
Con lo sguardo c’incoraggiavano dubbiosi
E scuotendo il capo si auguravano la pace.
I tedeschi sopraggiungevano a coppie
Cercando anche loro un po’ di calore.
Sguardi dolci s’incrociavano mesti
E i volti esprimevano un’ansia dolente.
Presto ce ne andremo, diceva Franz,
E incrociava i suoi occhi azzurri
Con i neri di Domenica che sorrideva.
Erano giovani, carichi d’armi e di sorrisi
E noi non sapevamo odiarli.
Erano come i nostri in Grecia, in Russia,
Nelle lontane distese dei deserti africani.
Franz era il più triste e l’ultimo ad uscire.
Amava Domenica? Stava bene con noi?
Sì, l’amo; mi ricorda mia figlia a Heidenheim.
Quanti anni ha Domenica? Undici, vero?
Marilen è ancora più piccola, ne ha solo nove;
Chiede del suo papà e piange disperata.
Sua madre dorme sotto le macerie di Berlino
E Marilen è sola, disperata e senza amore.
Sono lontano, Marilen, non piangere più.
Presto tornerò a riabbracciarti, mia cara.

La brutale guerra ora sembra inesistente,
E le granate non ci spaventano più.
Franz, Gerhard, Ulrich, Einrich sono stanchi,
Appoggiano sulla nostra tavola le armi
E conversano con noi dei loro cari lontani,
Una trepidazione serpeggia nei cuori
E un sottile timore ci tormenta.
Il bagliore delle granate e gli scoppi lontani
rimbombano sordi e cupi nella valle,
Ma vogliamo accarezzare la speranza.
Devono pur finire le nostre disgrazie.

Franz tace ma ha la tristezza sul volto,
Sono loquaci i suoi occhi azzurri,
Loquace è il suo volto scavato e smunto.
E’ un uomo buono e sta bene con noi?
Domenica pudica abbassa lo sguardo trepido,
Smarrita in un fremito sconosciuto.
Di giorno e di notte tutt’intorno
scoppiano le granate e scoppiano le bombe
E lampi sinistri come occhi spettrali
Illuminano gli alberi e la desolata campagna,
Penetrano nelle case in parte distrutte,
Rischiarano i volti smarriti.
Domenica si rannicchia all’angolo
E Franz vuole raggiungerla per quietarla,
Ma non osa e gli occhi esprimono la pena.
Vincenzo guarda Vittore, guarda me,
E abbassa anche lui un volto smarrito.

Augusto freme impotente ma non odia.
Pensa ai campi sconvolti e incolti,
Al muggito delle bestie ancora vive,
ai vitelli uccisi ingiustamente,
Alle mucche affamate nella stalla,
Ai vitelli rimasti, prossimi a morire,
E sogna una falce per il fieno.

Nell’altra casa Giuseppe e Fiorentino
Mungono le poche pecore rimaste.
Ne avevano cento un mese prima;
Molte sono state dilaniate dalle granate
Altre sono state sequestrate da Ulrich.

Fremono i fratelli Gatti avviliti;
una rabbia sorda, repressa per pietà,
li rende docili al destino ineluttabile.
Neppure loro odiano gli invasori.
La sera giocano a carte con Heinrich
Con Bernhard e Gerhard e Thomas.
Fiorentino racconta storie inventate
Ma Bernhard non capisce e guarda Ulrich.
Solo Giuseppe ride contento e batte le mani.

Giuseppe Matera, di anni ventisei, è solo
E solo vive la grama vita alle Cerrete.
Vincenzo gli porta una minestra calda.
Da noi non viene e si consuma in solitudine.
A chi pensa Giuseppe Matera?
Perché tace ombroso e solitario?
I tedeschi irrompono nella sua grotta
E ridendo, avvinazzati per non soffrire,
Vuotano ogni giorno le botti
Ancora frizzanti di novello.
Giuseppe Matera non reclama, lascia fare,
tace e certo pensa ai suoi morti,
e si sente svuotato d’ogni amore.

Maria Giuseppa cuoce il pane per tutti;
Alle cinque impasta e prepara la massa,
La ricopre col telo, chiude porta e finestre
E finalmente si riposa accanto ad Augusto.
Quando il pallido sole d’autunno
filtra dalla finestra socchiusa
Augusto si sveglia e comincia il litigio:
Vuoi morire? Dice Maria Giuseppa,
Verranno loro a prendere il pane,
Se ancora ce ne sarà.
I tedeschi devono prelevare per primi,
L’avanzo, se c’è, resta ai cerretani.
Augusto bestemmia, si morde le mani
Ma Maria Giuseppa paziente lo frena.
Sono anche loro figli di Dio,
Non bestemmiare, presto tutto finirà.

Giusta Mignanelli ha cinquantotto anni,
anche lei vive alle Cerrete.
Nella casa grande s’aggira muta
E non fa entrare nessuno, nemmeno gli amici.
Ricama i centrini davanti alla finestra
E in silenzio aspetta il tramonto.
Una volta Gerhard tentò di entrare,
Ma Giusta lo scacciò con la scopa.
Gerhard bestemmiò ma non ci riprovò più.
Non si spaventa mai Giusta;
Quando una granata le sfondò il tetto
Guardò imperterrita e imprecò.
I suoi due gatti fuggirono miagolando
e non tornarono più.
Meglio così, disse tra sé Giusta,
Le provviste dureranno di più.

Filomena Cistrone piange di continuo,
Teme un’imminente tragedia?
Zio Meo Pasquale, suo marito,
La redarguisce chiamandola strega.
Non è cattivo il vecchio Zio Pasquale,
ma non sopporta quel pianto.
Filomena Cistrone non è di San Pietro;
Pensa alla casa paterna di Cervaro.
Voglio tornare a Cervaro, dice piangendo,
là non scoppiano le bombe,
Voglio tornare a Cervaro.
E s’aggrappa a zio Pasquale irritato.
Lui le tira i capelli: strega, strega,
Non ti vergogni di frignare così!?

Nardelli Giuseppe non sta mai fermo;
Anche lui è solo nella casa di fronte.
Si aggira inquieto nella stanza,
Poi s’affaccia sull’uscio e spia.
Di sera s’affaccia più spesso,
Passeggia ancora qualche minuto,
Circospetto e nervoso, indeciso,
Poi finalmente di colpo esce.
Porta un fagotto sotto l’ascella,
Si guarda attorno e sparisce nel buio.
Dove va di notte Giuseppe Nardelli?
Non ci dice nulla, ma è irrequieto.
Ecco, finalmente un giorno si apre, parla.
Va nel rudere di Antonio Carciero
Lì si nasconde Vito Mistretta siciliano,
Soldato italiano, sbandato e impaurito.
Giuseppe Nardelli lo convince a stare con lui,
E lo porta nella sua casa cerretana
fidando che nessuno sveli mai il segreto.
E’ giovane e forte Vito Mistretta,
Nato ad Alcamo ha soltanto ventisei anni.
Sogna il suo lago Poma laggiù in Sicilia
E i fichidindia di San Cipitello
Come hanno fatto i tedeschi a sapere?
Chi ha tradito Giuseppe e Vito Mistretta?

IL BOIA E LA MORTE

All’alba dell’undici novembre del ‘43
Franz entra precipitosamente in casa
Mi abbraccia e piange per due minuti
Guarda Domenica e abbassa gli occhi.
Poi d’improvviso esce stringendosi il capo.
Chi poteva sapere il nostro destino?
Nello slargo davanti alle nostre case
C’è un viavai rumoroso e confuso;
Alcuni camion escono dal borgo
Altri entrano carichi di nuovi tedeschi.
Uno di essi che non abbiamo mai visto,
sbraita e concitato dà ordini perentori:
Svelti, presto, presto… entra in casa.
Fuori, tutti fuori, lì, presto.
Indica il muro di cinta lì vicino
E come una furia scatenata si avvicina,
Ci spinge, strappa dalle mie mani Domenica,
La scaraventa sul muro, facendola cadere.
Vittore protesta e l’uomo estrae la pistola,
La punta e grida: bastardo, vuoi morire subito?
Prende il braccio di Vittore e lo tira,
Lo trascina verso il muro di cinta.
Vittore recalcitra, urla, mostra i pugni,
E l’uomo spara due colpi per aria.
Gli fanno eco due rimbombi di granate
Poi per un momento è silenzio assoluto.

Siamo quattordici, allineati lungo il recinto,
Ci guardiamo e non capiamo quel che succede.
Spaventata cerco Franz con lo sguardo,
Cerco Gerhard, Thomas, Enrich, ma inutilmente.
Sono spariti. Perché? mi chiedo tremante
E un brivido freddo mi corre nelle ossa.
Poco distante scoppiano altre granate,
Due aerei, rumorosi come il tuono,
sfrecciano sulle nostre teste e scompaiono.
Una cupa atmosfera si diffonde tutt’intorno,
Come nei campi prima della tempesta,
Lampi e tuoni di granate rimbombano sinistri.
Il terrore cala sulle Cerrete.
E’ un momento, ma un incubo eterno.
Di nuovo esplode, senza che lo vediamo,
La voce concitata del capo.
Due militari si precipitano su di noi,
Spianano le loro armi e il silenzio è cupo.
E’ l’alba dell’undici novembre del ’43.
Restiamo lì, fermi alcune ore, spaventati
Appoggiati al muro di cinta, sfiniti,
Incapaci di darci una spiegazione qualsiasi.
C’è nell’aria un presentimento di morte,
il compimento imminente di un destino.
Ma perché? è la domanda che ci assilla,
Perché? che vogliono? non abbiamo dato tutto?
Un pallido sole appare di tanto in tanto
Tra la nuvolaglia che incombe sulle Cerrete;
Deve succedere qualcosa, pensiamo, ma cosa?
Ci guardiamo pallidi, senza parlare, tremanti,
Un dubbio diventa sempre più certezza,
S’insinua pressante nel nostro animo dubbioso
Nessuno trova il coraggio di parlare,
Ma l’atroce assurdità di quella certezza,
Diventa sempre più tarlo rovinoso.
Tutti tacciono pensando agli altri.
Sono forse le due, le tre pomeridiane,
Il pallido sole cala a ponente,
si nasconde dietro le querce del viottolo
E l’incerto chiarore diventa buio.
Alle quattro, forse, torna il capo,
Seguito da due altri militari,
Chiama per nome Giuseppe Nardelli.
Tu, grida, dicci chi è il disertore,
Presto; e punta la pistola contro Giuseppe.
Poi s’avvicina, lo prende per un braccio,
Lo stacca dal muro al quale è appoggiato.
Indicamelo, presto. E ripunta la pistola.
Giuseppe tace, l’altro lo schiaffeggia,
Lo scaraventa a terra, urla come una iena,
Ma Giuseppe tace ancora, tremante ma deciso.
Il capo lo prende a calci, urla più forte,
e subito dopo gli spara a bruciapelo.
Un freddo gelido serpeggia nelle mie vene,
Serpeggia certo nelle vene di tutti.
D’istinto abbraccio i miei due figli;
Domenica è una bambina, ha undici anni,
Vincenzo è un uomo, ne ha diciassette.
Ma ora tutti sono miei figli, tutti,
nessuna età può distinguerli al mio affetto.
Vorrei abbracciarli, ma il capo mi stacca,
Mi spinge da parte, grida concitato:
Indicatemi il disertore. Cani, bastardi,
Vi ucciderò tutti, tutti, tutti, vigliacchi.
E si precipita contro Giuseppe Matera.
Gli spara bruciapelo due colpi sul petto
E Giuseppe cade bocconi sul selciato.
Poi per un momento tace, ma ripunta l’arma.
D’improvviso si rivolge ai due soldati.
Parla in tedesco e imprecando si allontana.
In quello stesso istante Vito si fa avanti,
Non ha la forza di rivelarsi, balbetta
e subito cadde ginocchi davanti ai due.
Uno di loro lo prende per un braccio
Lo solleva da terra e lo accompagna al muro,
Poi si fa indietro con calma.
Guarda il compagno e imbracciano l’arma.
Tram-tram-tram… e in un attimo tutto finisce.

Non sento dolore; scorre il sangue nelle vene?
Vedo cadere i fratelli Gatti e Augusto Fuoco,
Giuseppa Angelone e Giusta Mignanelli.
Non cadono Meo Pasquale e Cistrone Filomena,
rimangono appoggiati al muro di cinta.
Vito tenta di alzarsi, ma ricade sfinito.
Io, Domenica e Vincenzo siamo ancora vivi,
Vittore è riverso ai miei piedi e rantola.
Vedo scorrere il mio sangue, ma sono viva.
Prendo in braccio Domenica, l’accarezzo;
Vincenzo ha la forza di trascinarsi fino a me.
Li stringo al seno e non sento alcun dolore.
Perché, ma’, perché? domanda Vincenzo, perché?
Dio l’ha voluto, figli miei, ha voluto così.
Come sarà di là? domando a me stessa.
Non lo so, ma può essere peggio quel mondo?

Vedo un fiume calmo, alberi fioriti, il sole…
andiamo, ecco, viene anche vostro padre,
ci raggiunge, eccolo, sta venendo…
c’è mia madre, sorride… c’è mio padre…
ecco i vostri nonni… faremo festa…
vedete?… c’è anche vostro fratello… Luigino…
Lui partì tanti anni fa… ma ci ha aspettato…
Andiamo… andiamo… andiamo….

 

Versi per gli altri morti, dilaniati dalle granate o sepolti sotto le macerie o morti per gli stenti subiti a causa degli avvenimenti bellici

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Che pensavate in quei giorni
quando menti assassine
dilaniavano i vostri corpi
distruggevano le vostre case
incendiavano i vostri uliveti
scompigliavano i vostri campi?
quando bufera inaspettata
vi toglieva il sorriso
che scaldava i vostri cuori?
Che pensavate in quei giorni
quando i vostri figli affamati
piangevano tra le vostre braccia,
quandouna speranza accarezzata
vi faceva desiderare
un po' più di legna per il fuoco
un po' più di pane
un po' più di olio?
Che pensavate in quei giorni
voi spose e madri adirate
quando il cuore vi si gonfiava,
le notti trascorrevano insonni,
il pensiero ai mariti
e ai figli lontani?
Che pensavate in quei giorni
rintanate nelle grotte
in attesa di uno spiraglio di luce
di uno sguardo, di un abbraccio?

Che pensavate in quei giorni
quando trituravate il grano
per preparare l'impasto
che per un po' vi avrebbe sfamato?
quando i vostri figli si azzuffavano
per rubarsi un'oliva?
quando i vostri vecchi morivano
dandovi un ultimo sguardo disperato?
Che pensavate in quei giorni
quando chi lasciava le grotte
nel tentativo di sfamarvi
insanguinava i campi
dilaniato dalle granate?

Pensavamo a quel raggio di sole
che immaginavamo
e non sapevamo
che su questa terra gli uomini
si sarebbero ancora uccisi
dopo la nostra morte.

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